Iside Viana nasce a Candelo (VC) il 6 agosto 1902. La madre, Ernesta Scanzia, era già nota in questura a causa delle sue idee socialiste (aveva preso parte a manifestazioni e a cortei sovversivi). Il padre, Emilio, era stato un emigrante in Algeria e poi in Svizzera come muratore e anche lui, come la moglie, era conosciuto per le sue idee socialiste (fu anche sindaco di Candelo). Il fratello, Luigi, nato nel 1896, muratore come il padre, fu tra i primi fondatori del partito comunista nel biellese e, a causa del suo percorso politico, subì il carcere e il confino a Ventotene. Rientrato nel paese di origine si unì alle truppe partigiane del biellese. La sorella più piccola, Alba, nacque nel 1909 ed essendo ancora una bambina non venne coinvolta nelle attività antifasciste di Iside e Luigi. Come scrive lo storico Giovanni De Luna nel suo libro Donne in oggetto. L’antifascismo nella società italiana 1922-1939 (dove dedica un intero capitolo alla figura di Iside Viana), “il suo approdo alla politica fu segnato, così come per tante sue compagne, da un impasto di condizioni oggettive, materiali, e di scelte soggettive, maturate senza soluzione di continuità all’interno delle relazioni familiari e amicali che articolavano i vincoli comunitari in un paesino come Candelo, nel Biellese” (p. 307).
Iside studiò fino alla quinta elementare e iniziò a lavorare alla dolce età di dodici anni come sarta. Durante il cosiddetto Biennio Rosso rafforzò i suoi ideali politici avvicinandosi alla militanza politica: aderì prima al Psi e, dopo la Scissione di Livorno, al Pci.
Dopo un soggiorno di quasi sette mesi in Brasile (nel 1924), rientrata a Candelo per motivi di salute, decise di diventare funzionaria del partito e di entrare in clandestinità. Nel 1927 si trasferì a Milano come impiegata dell’ “Ufficio 8”, il fulcro italiano del movimento giovanile comunista, alle dipendenze dirette di Pietro Secchia.
Venne arrestata il 14 gennaio 1928 a Milano, dopo la scoperta della sede della federazione insieme a molti altri militanti. Processata davanti al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, venne condannata a quattro anni di reclusione nel carcere penale femminile di Perugia dove entrò il 5 marzo 1929.
La vita in carcere per Iside fu molto dura. Si ammalò quasi subito e venne ben presto isolata dalle compagne comuniste per aver accettato il ricatto delle suore che gestivano il carcere a partecipare alle funzioni religiose in cambio di cibo. Nel novembre 1931 si ammalò di una forte febbre influenzale che la condusse alla morte. Erano le 12.40 di domenica 22 novembre 1931.
La figura di Iside è stata per molto tempo dimenticata, soprattutto perché, subito dopo la guerra, “ci si interrogò più sulle circostanza che avevano indotto le sue compagne a una simile ostentazione di intransigente durezza che sui tormenti, le angosce, le speranze che avevano caratterizzato le scelte di Iside” (De Luna, Donne in oggetto, 1995, p. 310).
In realtà, la vita e soprattutto la morte di Iside ci permettono di comprendere meglio non solo la durezza delle condizioni di vita nelle carceri fasciste, ma di approfondire anche la questione della cosiddetta “questione religiosa”: “per le donne comuniste, a differenza degli uomini, la reclusione coincideva con un isolamento politico quasi totale, con conseguenti grosse difficoltà nell’orientare la discussione interna lungo i binari dell’ortodossia e della fedeltà ideologica a posizioni poco conosciute e mal digerite. Così, in modo del tutto spontaneo, ci si era appropriati di una sorta di surrogato ancorando le regole della coerenza rivoluzionaria alle occasioni comportamentali fornite dallo stesso regime carcerario. Il regolamento, ad esempio, prevedeva per i detenuti l’obbligo di partecipare alle funzioni religiose. Il rifiuto di sottostare a questa imposizione parve alle donne comuniste una possibilità concreta per dimostrare la propria intransigenza ideologica” (De Luna, Donne in oggetto, 1995, p. 310). Iside si trovò dunque coinvolta in una questione più grande di lei, più grande dei suo problemi di salute, più grande della sua fame rispetto alla quale non riuscì a reagire (si legga a proposito la testimonianza di Camilla Ravera, compagna di carcere di Iside).
La (ri)scoperta tardiva di questa donna dal destino così tragico la si deve soprattutto alla ricerca di Laura Mariani, pubblicata nel volume Quelle dell’idea. Storie di detenute politiche 1927-1948, dove la storica ricostruisce, attraverso le fonti a disposizione, il destino di alcune donne rinchiuse nel carcere di Perugia, soffermandosi in particolare sui percorsi delle cinque biellesi, tra cui Iside, che passarono da questa casa penale. Grazie alle ricerche condotte da Laura Mariani, lo storico De Luna riuscirà a ricostruire il profilo biografico di Iside e nel 1997 un noto gruppo folk italiano, i Gang, le dedicherà un intero brano, Iside, inserito nell’album Fuori Controllo, forse il modo migliore per ricordare la storia tragica della donna che “accecò la notte con il suo dolore”.