Infatti alla fine della guerra c’era chi in piazza o per le strade si abbracciava o si baciava, e c’è chi invece son rimaste chiuse in casa a piangere il loro dolore perché loro sapevano che…
E poi una cosa che proprio quella, che proprio, io non so se perché eravamo giovani, sia io che mia sorella lo diciamo sempre: è stata l’illuminazione, è stata bella la Liberazione, è stata una gioia immensa.
Ma quando dopo un po’ di giorni hanno illuminato la città, per la prima volta dopo cinque anni l’abbiamo vista illuminata a me non pareva vero, mi pareva il sole, ci fosse il sole in città. E che non era un’illuminazione come adesso. In tempo di guerra c’erano le lampadine normali in giro per la città. C’era un piatto così smaltato, tutto blu e la lampadina l’avevano dipinta di blu perché c’era l’oscuramento, poi venivano spente quando suonava l’allarme. Dopo cinque anni di oscuramento quasi ce l’avevamo dimenticata questa città come poteva essere di notte. E quando l’hanno illuminata abbiamo preso tutte le biciclette noi giovani, abbiamo fatto il giro per la città, non finivamo più di girare per la città, per vederla, per ammirarla.
Non ci pareva vero di ritrovare la luce.
(Tratta dalla videointervista a Giovanna Michelone realizzata da Marta Nicolo ed Enrico Pagano e pubblicata su “l’impegno”, a. XXXIII, n. s., n. 1, giugno 2013)
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