“A prescindere dalle specifiche modalità dei singoli arresti e dall’uso o meno della violenza, quel momento era vissuto come una lacerazione che squarciava bruscamente la tela della propria esistenza: prima si era liberi, clandestini, cospiratori, braccati, spiati ma liberi; poi di colpo scaraventati nel cuore di una macchina poliziesca che si sapeva potente ed efficiente, si azzerava ogni dimensione collettiva e si era lasciati soli con la propria coscienza, con le proprie risorse individuali”
Giovanni De Luna, Donne in oggetto. L’antifascismo nella società italiana 1922-1939
“Durante il fascismo, il riconoscimento di una “cittadinanza piena” era previsto soltanto per gli uomini, mentre il ruolo delle donne veniva relegato alla p”assività della sfera domestica e privata”. Ciò che andava oltre questo schema era considerabile anormale, come appunto l’impegno politico, per di più illegale, di una donna. Da questo punto di vista, il giudizio morale delle autorità espresso sui comportamenti delle donne militanti in organizzazioni clandestine appare orientato verso una maggiore intransigenza e severità, nonché ricco di pregiudizi verso la condotta morale o la capacità di mantenere gli impegni famigliari, soprattutto verso i figli”.
Matteo Petracci, I matti del duce, pp. 118-119
“Sempre, l’arresto e la traduzione in carcere segnano il passaggio “dallo status di soggetto a quello di oggetto”. Tanto più nel regime fascista, quando all’uso della violenza durante gli interrogatori, spesso si aggiungevano afflizioni meno fisiche ma più mentali: come la sensazione di impotenza e di precarietà determinata dall’attesa – prolungata per settimane o per mesi – di conoscere la propria sorte; oppure l’angoscia per l’interruzione dei legami con i propri cari, per la vergogna che su questi ricadeva e persino per il coinvolgimento degli stessi nella propria sciagura. A volte, infatti, come abbiamo visto nel capitolo precedente a proposito della moglie di Roberto, anche i familiari potevano essere arrestati perché implicati nelle indagini. Altre volte, invece, il fermo di un congiunto poteva servire a fare pressione sugli antifascisti sospettati di appartenere a un’organizzazione cospirativa, per indurli a parlare. In ogni caso, l’arresto spezzava i legami famigliari, e, dal punto di vista del carico psicologico, sembravano pesare innanzitutto le ansie derivanti dall’impossibilità di mantenere gli impegni verso i propri congiunti, verso i figli” Matteo Petracci, I matti del duce, p. 138